“Un tripode tutto ad ornati”

Tripode Giuseppe Maggiolini

Bibliografia:
E. Colle, Modelli d’ornato per Giuseppe Maggiolini, in «Prospettiva», 65.1992, p. 83
G. BerettiGiuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, l’officina del Neoclassicismo, Milano 1994, p. 56
E. ColleLe arti decorative, in F. MazzoccaA. MorandottiE. Colle, a cura di, Milano neoclassica, Milano 2001, p. 543
G. Beretti, A. Gonzáles-PalaciosGiuseppe Maggiolini. Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014, pp 263-264

A partire dal 1781, con la pubblicazione delle Antiquités d’Erculanum di Silvan Maréchal (1750-1803), opera divisa in dieci volumi con oltre 700 tavole a stampa incise su rame, nei principali centri europei si diffusero modelli di mobili derivati dalle forme archeologiche. Tra questi vi furono i tripodi che coronarono un successo già in precedenza sancito, oltre che dalle incisioni di Piranesi, dal celebre quadro di Vien, esposto al Salon del 1763, Sacerdotessa che brucia incenso su un tripode, poi inciso da Flippart con il titolo La verteuse Athenienne, dal quale prese avvio un vero e proprio genere di mobilia. Il tripode divenne così l’archetipo dell’ornamentazione alla nuova maniera, già con Robert Adam (1728-1792) che nel 1774 ne disegnò alcuni per la casa londinese di Sir Watkin Williams-Wynn, e poi a Milano un decennio dopo con Giocondo Albertolli (1742-1839) che con la tavola VI del volume Decorazioni di Nobili Sale inventò secondo il più aggiornato gusto neoclassico un finimento di sedute in forma di tripode per i palazzi di corte. Ma quello di Albertolli non fu certo un caso isolato nella Milano arciducale. Don Giacomo Antonio Mezzanzanica, nella monografia dedicata all’opera di Giuseppe Maggiolini, cita un passo del Giornale Enciclopedico cittadino (1783, Tomo IV, p. 172) dove si legge: “Il Sig Giuseppe Maggiolini di Parabiago ultimamente ha fatto osservare alle LL.AA.RR. un tripode tutto ad ornati, e non vi si ammirano mai abbastanza la finitezza e la delicatezza del lavoro, il tripode si suppone per la Corte di Pietroburgo, la quale ha già aggradito altr’opera dello stesso”[1]. Durante la sua lunga carriera Giuseppe Maggiolini ricevette diverse commesse dall’arciduca Ferdinando, spesso donativi per le più importanti corti europee. Eseguì una scrivania per l’imperatrice d’Austria Maria Teresa, una grande commode per Ercole III d’Este, un quadro intarsiato per il re di Polonia Augusto Poniatowski, un secétaire per Maria Amalia d’Asburgo, uno scrittoio per Maria Carolina. Non ultimo dovette essere il tripode di cui ci informa Don Giacomo Antonio Mezzanzanica eseguito per la Corte di Pietroburgo, forse per la stessa imperatrice di Russia Caterina II. Se del mobile se n’è persa traccia, andato disperso o forse distrutto nei secoli a venire, fra le carte del Fondo Maggiolini si conserva il progetto ad opera di Giuseppe Levati (1739-1828), uno dei migliori disegni dell’intera raccolta (Inv. C 71)[2].

Tripode Giuseppe Maggiolini
Giuseppe LevatiTripode, 1790 ca. Grafite, penna e acquerello su carta bianca, mm. 722×410. Milano, Gabinetto dei disegni delle Raccolte artistiche del Comune di Milano, Raccolta Maggiolini, Inv. C 71

Pur ispirato dall’antico, senza dubbio attraverso la mediazione di Giocondo Albertolli del quale è il principale interprete, Levati traccia le linee di una forma d’invenzione secondo il più squisito gusto neoclassico. Ne deriva un mobile prezioso, dalle proporzioni più riuscite, ornato da fitti intarsi che ne ricoprono interamente le superfici. Le fasce poste su più ordini, il corpo centrale di raccordo e le esili gambe giunte da ghirlande sono un vero e proprio repertorio di ornati. Possiamo solo immaginare come dovette essere il prezioso mobile fittamente intarsiato in legni policromi. Per la finitezza delle minute decorazioni, se non fosse fra le carte della bottega Maggiolini, si potrebbe immaginare opera in bronzo cesellato, vicina a quanto eseguito in quegli stessi anni da Luigi e Antonio Manfredini. Le misure del progetto, forse in scala 1:1, fanno pensare a un mobile di piccole dimensioni, quanto più prossimo a un tavolino circolare oggi in collezione privata.
Resta da chiarire la funzione di questo insolito arredo. Si potrebbe trattare di un piccolo tavolo da centro, sormontato da un piano forse in marmo o anch’esso intarsiato come il resto delle superfici; oppure di una fioriera che utilizza il tamburo come vano contenitore per una vasca in rame.


[1] G. A. MezzanzanicaGenio e lavoro, biografia e breve storia delle principali opere dei celebri intarsiatori Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, Milano 1878, pp. 50-52 [2] G. Beretti, A. Gonzáles-PalaciosGiuseppe Maggiolini. Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014, pp. 263-264

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