Una coppia di “sciffoni” per Giorgio Pio Pallavicino Trivulzio

Giuseppe Maggiolini coppia comodini

Giuseppe Maggiolini, Coppia di comodini, 1787 ca
Legno di noce, abete e pioppo intarsiati in palissandro, bois de rose, bosso. Piani in marmo bianco di Carrara. Cm 83,5×60,5×33
Collezione privata

Tra i più importanti clienti di Giuseppe Maggiolini appartenenti al patriziato milanese, vi fu il marchese Giorgio Pio Pallavicino Trivulzio (1761-1803), padre di Giorgio Guido Pallavicino Trivulzio (1796-1878), uno dei protagonisti del Risorgimento italiano. Lo testimoniano nove disegni per diverse commesse ancora oggi nel Fondo dei disegni di bottega presso le Raccolte artistiche del Comune di Milano. Opere eseguite, stando alle iscrizioni sui fogli, dal 1795 al 1798. Ma sono più numerosi i disegni, senza indicazione del nome del committente e delle date, relativi a mobili giunti sino a noi, eseguiti per il patrizio milanese e in alcuni casi documentati nell’archivio di famiglia oggi conservato nella villa di San Fiorano in provincia di Lodi. Nei libri dei conti sono infatti ricordati numerosi pagamenti intestati a Giuseppe Maggiolini.
E’ il caso della coppia di piccoli mobili di cui si scrive, commissionati dal marchese Giorgio Pio in prossimità delle nozze, avvenute nel novembre 1787, con Anna Besozzi Figliodoni (1772-1858). Si tratta di due “scifoni”, ossia comodini, che possono essere annoverati tra le migliori opere eseguite da Maggiolini in questo decennio di intenso lavoro che vide l’esecuzione di alcune delle opere più importanti della sua carriera, quasi tutte su ordinazione dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo, terzogenito dell’Imperatrice Maria Teresa.

Giuseppe Maggiolini coppia comodini

Del 1783 è l’esecuzione del tripode che l’arciduca inviò, come ricordano le cronache del tempo, alla “corte di San Pietroburgo”[1]; il mobile è andato perduto ma, nel Fondo dei disegni di bottega, rimane lo splendido progetto messo a punto per quest’opera da Giuseppe Levati (1739-1828) (Inv. C 71)[2]. Dell’anno successivo è la commode eseguita per il marchese Domenico Serra di Genova, anch’essa perduta[3], ma fortunatamente documentata attraverso il cartone preparatorio che ci mostra un mobile decorato da tarsie di straordinaria bellezza ispirate ai migliori repertori della riscoperta dell’antico (Inv. F 3 recto)[4]. Anche la sorella Maria Carolina, regina di Napoli e consorte di Ferdinando IV di Borbone, è destinataria di una scrivania, oggi perduta, di cui si conservano alcuni disegni tra cui uno studio d’insieme, in versione alternativa, di Giuseppe Levati (Inv. E 23)[5]

Giuseppe Levati studio per arredo Giuseppe Maggiolini
Giuseppe Levati, Studio per una scrivania, 1785 ca. Grafite e penna su carta bianca, mm. 476×691. Milano, Gabinetto dei disegni delle Raccolte artistiche del Comune di Milano, Raccolta Maggiolini, Inv. E 23

Del 1790 è l’esecuzione del secrétairefortunatamente conservatoche Ferdinando inviò in dono alla sorella Maria Amalia alla corte di Parma – giunto nella seconda metà dell’Ottocento alla palazzina di caccia di Stupinigi dov’è ancora oggi conservato[6].
Non stupisce che Giorgio Pio Pallavicino, patrizio e gentiluomo di corte dell’arciduca Ferdinando, coltivasse una passione per i mobili dell’ebanista insignito del brevetto di Intarsiatore delle Loro Altezze Reali e che questi eseguisse, in occasione delle sue nozze, due piccoli mobili di straordinaria ricchezza che presentano numerosi punti di contatto con le opere perdute appena ricordate. Sono stretti i legami, nell’impianto architettonico e nell’organizzazione compositiva, con il progetto della scrivania eseguita da Maggiolini per la regina di Napoli Maria Carolina (Inv. E 23). Il confronto col progetto di quel mobile perduto è eloquente: riguarda la forma delle gambe caratterizzate da un comune dado posto sotto il colletto di raccordo ai pilastri d’angolo, l’impostazione della ricca ornamentazione affidata a intarsi minuti, di bella invenzione e ben armonizzati. Anche quel mobile presentava, come i due comodini, fianchi leggermente bombati, angoli smussati da cornici finemente intarsiate. Addirittura Maggiolini reimpiega per la composizione di una delle due tarsie dei pannelli centrali delle facciate dei due mobiletti, un disegno con due colombe (allegorie dell’Amore) che Giuseppe Levati aveva messo a punto per quella commessa arciducale (Inv. A 63)[7]
In un altro disegno (Inv. C 341)[8], relativo a studi per un secrétaire “ricco” eseguito nel maggio del 1790 per l’arciduchessa Maria Beatrice d’Este, moglie di Ferdinando, e destinato alla villa arciducale di Monza, compaiono alcuni motivi e un fregio praticamente identico a quello che compare sulle fasce superiori dei fianchi dei nostri mobiletti. Anche la tavolozza dei legni impiegati corrisponde a quella dei mobili eseguiti da Maggiolini in quegli anni; vale a questo proposito il confronto tra i nostri mobili e il secrétaire oggi alla palazzina di caccia di Stupinigi, anch’esso caratterizzato da luminose stesure di bois de rose e tarsie su fondi di un acero luminoso e cangiante. 


[1] G. BerettiGiuseppe e Carlo Francesco Maggiolini, l’officina del Neoclassicismo, Milano 1994, pp. 56-57 [2] G. Beretti, A. Gonzàlez-PalaciosGiuseppe Maggiolini, Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014, pp. 263-264 [3] G. BerettiLa commode Serra del 1784, in G. Beretti, a cura di, Maggiolini al Fuorisalone, catalogo della mostra (Milano, Galleria San Fedele, 13-19 aprile 2015), Milano 2015, scheda 7 [4] G. Beretti, A. Gonzàlez-PalaciosOp. Cit., p. 337 [5] Ibidem, pp. 334-335 [6] G. BerettiOp. Cit., Milano 1994, pp. 106-113 [7] G. Beretti, A. Gonzàlez-PalaciosOp. Cit., p. 34 [8] Ibidem, p. 323

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