Giuseppe Maggiolini, collaboratori, allievi e imitatori

Giovanni Maffezzoli
Giovanni Maffezzoli, Commode, 1790 ca. Già Milano, mercato antiquario

Nel dicembre 1788 la fama di Giuseppe Maggiolini, quando gli fu conferita la medaglia d’oro della Società patriottica di Milano – istituzione voluta da Maria Teresa per sostenere le attività modello dell’agricoltura, dell’industria e del commercio della Lombardia asburgica –, aveva ormai varcato i confini del piccolo ducato di Milano. Da oltre un decennio poteva fregiarsi del brevetto di “Intarsiatore delle Loro Altezze Reali”, ossia dell’arciduca Ferdinando, terzogenito dell’Imperatrice Maria Teresa. I suoi mobili, visibili nel palazzo di corte e in quelli della più colta e ambiziosa nobiltà milanese che andava rinnovando i propri palazzi, erano giunti come donativi dell’arciduca Ferdinando alla corte di Vienna, di Napoli, Modena, Parma, e persino a San Pietroburgo dopo che nel 1784 i “Duchi del Nord”, in visita a Milano, avevano potuto apprezzare le sue opere nel palazzo arciducale e nella Villa di Monza.
Di questi mobili, in gran parte purtroppo perduti ma documentati nel Fondo dei disegni di bottega, noi oggi apprezziamo il valore artistico, la loro sintonia con quel grande sommovimento del gusto che fu il Neoclassicismo. Ma al tempo, per i suoi contemporanei, Maggiolini rappresentò anche un fulgido esempio imprenditoriale; e per questa ragione fu premiato nel 1788.  
Don Giacomo Antonio Mezzanzanica nella sua biografia (Genio e Lavoro xxx 1878xxx) dedicata, ai “celebri intarsiatori”, riporta per esteso il brano della “Gazzetta di Milano” del 29 dicembre in cui ne fu data notizia:

Per sempre più animare le arti e le industrie nazionali, questa Società Patriottica, per insinuazione dell’I.R. Governo, ha concesso al signor Maggiolini di Parabiago, intarsiatore in legno di S.A.R., il premio d’una medaglia d’oro del valore di 50 zecchini, per essersi egli reso utile e benemerito, avendo fatto risorgere quest’arte, che in Italia era quasi estinta e abbandonata, e per averle aggiunto non poco di perfezione si nel gusto, che nella solidità de’ suoi lavori, a cui non giunsero gli antichi stessi […]. Quindi a giusto titolo vien riguardato dagli intelligenti come uno dei più eccellenti artefici di quest’arte, e meritatamente acquistassi questo premio che lo distingue.

In occasione del conferimento del premio, Maggiolini presentò alla commissione un piccolo quadro (mettere link) a tarsia rappresentante due amorini, tratto da un bellissimo disegno di Andrea Appiani. Il quadro si conserva in una collezione privata, mentre il disegno è presso la Biblioteca dell’Accademia di Brera. Oggi sappiamo che fu Cesare Beccaria ad avanzare la proposta di premiare il celebre intarsiatore. Ne è testimonianza una relazione a sua firmata, datata 9 settembre1788, conservata nel Fondo Commercio dell’Archivio di Stato di Milano. Due sono le ragioni chiaramente espresse dal relatore ai commissari della Società Patriottica per le quali Maggiolini merita questo riconoscimento:

Da oltre trent’anni a questa parte [Maggiolini opera N.d.a.] con vantaggio della Società tanto per la scuola da lui tenuta a venti e più persone, come per l’introito del danaro delle commissioni eseguite per fuori Stato.

La florida attività dello stabilimento di Parabiago arreca ricchezza al territorio, e di conseguenza alle casse dell’erario con il pagamento dei dazi. Ma non sfugge il valore che per gli studi sul mobile lombardo ha la seconda affermazione, ossia che egli, nel 1788, esercitasse il ruolo di maestro in quella che Cesare Beccaria definisce una vera e propria “scuola”. Naturalmente il termine scuola non va inteso in senso letterale. Le “venti e più persone” che egli formò nel laboratorio di Parabiago, furono i numerosi lavoranti, oggi diremmo collaboratori, gli apprendisti che si avvicendarono, non solo nei primi trent’anni di attività del laboratorio, a fianco del maestro. La maggior parte furono avventizi, qualcuno gli fu fedele e rimase a suo fianco per decenni, un esiguo numero vi si formò e poi lo lasciò con l’ambizione di mettere su una propria bottega.

Quadro Giovanni Maffezzoli
Giovanni Maffezzoli, La morte di Attilio Regolo, 1815 ca. Cremona, Museo Ala Ponzone

Giovanni Maffezoli
Il più famoso allievo, l’unico ricordato nella biografia che a Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini dedicò nel 1878 Giacomo Antonio Mezzanzanica, fu Giovanni Maffezzoli (1774-1818). Figlio del falegname cremonese Felice, giunse a Parabiago verso la metà degli anni Ottanta, poco più che fanciullo, e vi rimase gli anni necessari alla sua formazione prima di tornare, nel 1794, a Cremona per lavorare a fianco del padre.
Scarse sono le notizie sulla sua attività cremonese; i mobili che gli sono stati attribuiti sono spesso di non grande qualità, caratterizzati da forme e intarsi ripetitivi di capricci architettonici, spesso poco accurati nell’esecuzione. Non di rado i modelli ornamentale sono tratti da quelli in voga a Parabiago. Egli, dopo l’apprendistato presso Maggiolini, dovette inserirsi nella routine della bottega paterna, migliorandola e aggiornandola in fatto di gusto, senza tuttavia riuscire a giungere a una produzione di valore artistico.
Qualcosa dovette però cambiare con i primi anni dell’Ottocento, quando, lasciata la bottega paterna probabilmente per dissidi, si specializzò nella realizzazione di quadri a intarsio che traducono dipinti di Giuseppe Diotti, Luigi Sabatelli e altri pittori dell’epoca. In questi davvero Maffezzoli dimostra di essere degno allievo di Giuseppe Maggiolini. Su disegno di Sabatelli nel 1813 realizza il quadro Gli Argonauti alla conquista del vello d’oro, premiato al concorso dell’Istituto Reale delle Scienze di Milano. Si tratta di una produzione tanto sofisticata, ancora oggi apprezzata e di valore collezionistico, ma esigua, poiché Maffezzoli morì giovane, all’età di quarantaquattro anni, nel 1818.

Cartiglio commode Greppi Giuseppe Maggiolini

Carlo Defelipi
Non un allievo, ma un collaboratore, dovette essere Carlo Defelipi, falegname originario di Origgio, paese distante pochi chilometri da Parabiago, il cui nome compare assieme a quello di Carlo Francesco e Giuseppe Maggiolini, su un foglietto di carta inserito nel fusto di una delle due commodes eseguite per Antonio Greppi nel 1777, fortunosamente emerso nel corso di un mio restauro. A quale titolo egli lasciò il suo nome a fianco di quello dei Maggiolini padre e figlio? Fu solo il costruttore dei fusti, o piuttosto un intarsiatore cui spettò di tradurre in legno le allegorie appositamente disegnate da Andrea Appiani per questi mobili?  Una qualche ricerca, da me mai intrapresa per mancanza di tempo, presso gli archivi parrocchiali di Origgio, potrebbe riservare qualche informazione sul suo conto.
Il fatto in se testimonia che l’officina, nel momento del suo massimo sviluppo, nel corso degli anni Settanta, rappresentò un polo di attrazione per falegnami dei paesi vicini.

Giovanni Gorla mobile intarsiato
Giovanni Gorla, Commode (di una coppia), 1802. Collezione privata.

Giovanni Gorla
Di questo fatto abbiamo testimonianza indiretta attraverso le rare opere di un ebanista e intarsiatore ancora misterioso, Giovanni Gorla, di Canegrate, paese confinante con Parabiago. E’ recentissima la comparsa sul mercato di due sue raffinate commodes, decorate da tarsie e cineserie di bella invenzione, di accuratissima esecuzione, firmate e datate 1802. Mobili eccentrici, da un punto di vista ornamentale, rispetto all’ortodossia milanese, che lasciano intendere, a mio modo di vedere, esperienze non esclusivamente milanesi. Anche la cura esecutiva, ben superiore a quella degli imitatori milanesi di Maggiolini, suggerisce esperienze non esclusivamente milanesi, forse anche estere.

Certamente in rapporto con Giuseppe Maggiolini dovette essere quel Gaspare Bassani che nel 1789 firmò un tavolo da gioco, ben noto agli studi, già presso la Rocca di Soragna. L’ebanista si dimostra, in questa sua unica opera al momento nota, un abile intarsiatore, in grado di disegnare e realizzare

Gaspare Bassani
Gaspare BassaniTavolo da gioco, 1789.
Collezione privata.

Gaspare Bassani
Certamente in rapporto con Giuseppe Maggiolini dovette essere quel Gaspare Bassani che nel 1789 firmò un tavolo da gioco, ben noto agli studi, già presso la Rocca di Soragna. L’ebanista si dimostra, in questa sua unica opera al momento nota, un abile intarsiatore, in grado di disegnare e realizzare intarsi ben tagliati, ombreggiati e profilati, prossimi a quelli che si eseguivano a Parabiago. Anni fa ipotizzai che egli si celasse più comunemente dietro il monogramma G.B.M. che compare su una nutrita schiera di mobili intarsiati “alla maniera di Giuseppe Maggiolini”, ma decorati da intarsi più modesti rispetto a quelli del maestro e del tavolo del 1789. Che il monogramma si potesse sciogliere in Gaspare Bassani Milanese, seppur di buon senso, si è rivelata un’ipotesi errata.

Giovanni Battista Maroni
Giovanni Battista Maroni, Commode (dettaglio), 1804.
Collezione privata.

Giovanni Battista Maroni
Quel monogramma cela infatti il nome di Giovanni Battista Maroni, ebanista a lungo attivo a Milano, con bottega in prossimità della chiesa di San Fedele, che firma per esteso una coppia di commodes, identiche a quelle siglate GBM, ritrovate in una collezione privata.  Anche Maroni si formò nello stabilimento di Parabiago. Ne sono prova la presenza su alcuni dei suoi mobili – non tutti siglati GBM ma stilisticamente senza dubbio a lui attribuibili – di tarsie tratte da disegni impiegati da Giuseppe Maggiolini e ancora conservati nel Fondo dei disegni di bottega.  Sono sempre disegni relativi a mobili eseguiti da Maggiolini nel corso degli anni Settanta, quando evidentemente Maroni era impiegato come lavorante a fianco del Maestro.  Non mancano, nella sua vastissima produzione, mobili degni di nota ascrivibili alla sua prima produzione indipendente risalente agli anni Novanta, come le commodes oggi conservate presso i Musei Civici di Monza. La sua specialità furono mobili “alla Maggiolini”, sempre identici nelle forme, decorati da tarsie derivate da una esigua gamma di modelli. La bottega rimarrà attiva anche con il figlio, nei primi decenni dell’Ottocento, quando la produzione andò progressivamente perdendo di qualità, acquistando un carattere decisamente seriale. Alcuni dei suoi migliori mobili, in qualche pubblicazione novecentesca, sono illustrati come opere della “Bottega Maggiolini”.

Giuseppe Colombo detto il Mortarino
Giuseppe Colombo detto il Mortarino, Commode, 1770 ca. Collezione privata

Giuseppe Colombo detto il Mortarino
Ebanista e intarsiatore noto agli studi è anche Giuseppe Colombo, detto “il Mortarino”. Così firma alcuni mobili noti agli studi. Il soprannome ci informa chiaramente sulle sue origini, ma sappiamo che fu attivo a Milano. Non vi sono elementi, allo stato degli studi, che permettano di metterlo in relazione diretta con Giuseppe Maggiolini. Mentre i precedenti ebanisti appartennero alla generazione successiva a quella di Maggiolini, Giuseppe Colombo dovette essere pressappoco coetaneo del celebre intarsiatore.
Nel corso dei primi anni Settanta eseguì alcune commodes (due datate 1774) di forme Roccocò, decorate da intarsi in legno chiaro che disegnano ampie e frastagliate cartelle su fondi di radica di noce. Sono mobili di bella invenzione, eseguiti con grande cura. Nel 1787 ha mutato stile; realizza un tavolo di gusto Neoclassico per l’arcivescovo Visconti Arca (asta Sotheby’s Milano xxxx) e in un cartiglio autografo apposto all’interno, ci informa che ha bottega presso la chiesa di San Giorgio al Palazzo, dove lavora con i figli Pietro e Marco. Si tratta di un mobile impacciato, che dimostra come la conversione al Neoclassicismo fu più che altro subita. Una ribalta e una commode d’impianto neoclassico sono, su base stilistica, attribuibili a questo laboratorio milanese di cui allo stato degli studi null’altro sappiamo ma che di certo scarso successo dovette avere nella Milano neoclassica.

Francesco Abbiati
Francesco Abbiati, Tavolo da gioco, 1790 ca. Los Angeles, Getty Museum

Francesco Abbiati
Impossibile sapere quale fu la relazione tra Giuseppe Maggiolini e uno dei più interessanti intarsiatori appartenenti alla sua generazione, Francesco Abbiati. Ebanista riscoperto da Alvar Gonzàlez-Palacios nei primi anni novanta del Novecento. Vicino al clan dei fratelli Gerli nel 1787, quando alcuni suoi mobili sono descritti ed elogiati nel romano “Giornale di Belle Arti”. Fu attivo a Roma, a Napoli, per la regina Maria Carolina, e Madrid, per la regina Maria Luisa. Clienti di tutto rispetto che lasciano intendere una solida reputazione. Intarsia con una tecnica differente da quella di Maggiolini, senza ombreggiare nella sabbia rovente le tessere, ma incidendo a tratteggio chiaroscuro e profilature. E’ un ebanista e intarsiatore di grande perizia, in possesso di un gusto compositivo solido e indipendente, basato soprattutto sui repertori a stampa delle antichità romane come, ad esempio, le tavole del Museo Pio Clementino di Ennio Quirino Visconti, edito a Roma nel 1788. Le sue opere certe, oggi si contano sono meno di una decina, un tavolo che può essere considerato una delle sue migliori opere, è al Getty Museum di Malibu.

Luigi Mascarone
Luigi Mascarone, La benedizione dei fanciulli, 1830 ca. Bergamo Chiesa dei Santi Bartolomeo e Stefano

Antonio e Luigi Mascarone
Alvar Gonzàlez-Palacios nel 1982 rese noto un secrétaire, firmato “Antonio Mascarone di Cesano fece l’anno 1802” conservato presso il museo di Palazzo Bianco a Genova.  Nel 1986 Giovanni Villani, nel catalogo della mostra “Civiltà del legno”, pubblicò quattro pannelli con intarsi di vedute di porto siglati A.M.F. – uno recante la data 1804. Anche chi scrive nel 2005 ha pubblicato uno scrittoio proveniente dalla villa reale di Monza sul quale compare una traccia della perduta firma di cui si legge solo “in Cesano F.” e un secrétaire, in collezione privata, sulla qui anta compare una tarsia con l’amorino che cavalca un delfino tratta da un disegno ancora conservato tra le carte di Giuseppe Maggiolini.  Sono noti anche due pannelli con tarsie tratte da incisioni di Francesco Londonio firmati Luigi Mascarone.
Preso la chiesa dei Santi Bartolomeo e Stefano Alessandro, nel coro con le celeberrime tarsie di Fra Damiano Zambelli, è inserito un pannello tratto dal quadro di Giuseppe Diotti (completare)

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