Una commode à pieds élevés

Giuseppe Maggiolini commode Castello Sforzesco

Giuseppe Maggiolini, Commode, 1765 ca
Legno di noce, abete e pioppo intarsiato in radica di noce e bosso. Maniglie e bocchette in ottone cesellato. Cm 86x125x63
Milano, Raccolte artistiche del Comune di Milano, Inv. Mobili 1299

Bibliografia:
G. Rosa, Mobili lombardi del Settecento, in «Antichità Viva», 5.1962, p. 45
G.Rosa, I mobili delle Civiche Raccolte Artistiche di Milano, Milano 1963, n. 243
G. Beretti, Un contributo allo studio della tarsia lignea in Lombardia prima di Giuseppe Maggiolini: alcuni mobili delle Civiche Raccolte d’Arte Applicata. Giuseppe Colombo detto il Mortarino e il “Maestro della pelle di rapa”, in «Rassegna di studi e di notizie», 16.1991-1992, pp. 17-19
E. Colle, Museo d’Arti Applicate: mobili e intagli lignei, Milano 1996, pp. 77-78
G. Beretti, Laboratorio, contributi alla storia del mobile lombardo, Milano 2005, pp. 12-21
G. Beretti, Il mobile dei Lumi, Milano nell’età di Giuseppe Maggiolini (1758-1778), Vol. I, Milano 2010, pp.53-58
A. Wegher, Un piccolo tavolo da lavoro, in G. Beretti, a cura di, Maggiolini al Fuorisalone, catalogo della mostra (Milano, Galleria San Fedele, 13-19 aprile 2015), Milano 2015, scheda 1
G. BerettiIl giovane Maggiolini. L’invenzione del mobile neoclassico a Milano, Milano 2023, pp. 57-63

Moglie ed erede del defunto Gian Giacomo Morando Attendolo Bolognini (1856-1919), la contessa Lydia Caprara di Montalto (1876-1945), morta vedova e senza figli, legò al Comune di Milano il palazzo di famiglia di via Sant’Andrea.[1] Tra gli oltre mille arredi e oggetti d’arte in esso contenuti si annovera la commode di cui si scrive, che nel 1948 entra a far parte delle Civiche Raccolte artistiche del Comune di Milano.

Comparsa nella letteratura artistica grazie a Gilda Rosa, che ne riconosce il “carattere di particolare virtuosità, non frequente nel mobile lombardo”[2], la commode resta del tutto ignorata dalla critica finché, dopo una prima attribuzione al Mortarino[3] – bravo ebanista milanese attivo attorno alla metà del Settecento di cui pochissimo sappiamo – fu dallo scrivente accostata ai due tavoli a console trasformabili, ritrovati nel 2005 in una collezione privata, firmati e uno datato “2 ottobre 1758”,[4] dunque eseguiti da un Giuseppe Maggiolini all’età di vent’anni.
Il ritrovamento di un’altra inedita console trasformabile[5], questa volta decorata come la nostra commode da fregi e cartelle Rocaille finemente intarsiati su fondi di radica di noce, ne conferma l’attribuzione.
La commode poggia su piedi a ricciolo che proseguono in pilastri angolari intagliati a foggia di slanciate volute terminanti in mensole. Nella cornice che profila il piano è celato un tiretto che, originariamente, era completato da uno specchio ad uso di toilette, oggi perduto.
I pilastri dalle nervature ben modellate che serrano la nostra commode, sono prossimi, per disegno e intaglio, alle gambe delle consoles trasformabili. A differenza di queste, non sono tinti di nero – ovviamente nulla impedisce che questa finitura, magari presente in origine, possa essere stata arbitrariamente rimossa. La qualità di taglio delle tessere, l’ombreggiatura ottenuta carbonizzando il bosso nella sabbia rovente, la profonda profilatura che definisce le nervature delle foglie con brevi tratti incisi, presentano un grado di affinamento che fa ritenere quest’opera eseguita, in prossimità della console di recente riscoperta, verso la metà degli anni Sessanta.

Fanz Xavier Habermann
Franz-Xavier Habermann, invenit. Mobile a doppio corpo con orologio. Milano, Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli, Album Maggiolini (Inv. Voll. FF 32)


Chiari i modelli ispiratori di questo mobile, da ricercare nelle tavole rappresentanti mobili di Franz-Xaver Habermann (1721-1796), e stampate ad Augsburg dall’editore Hertel, alcune delle quali, come quella di un mobile a doppio corpo la cui parte inferiore è del tutto prossima alla commode di cui si scrive, appartengono al corpus grafico della bottega di Giuseppe Maggiolini.
E’ questo il primo mobile di Giuseppe Maggiolini in cui compaiono maniglie e bocchette in bronzo.

Va infine richiamata quella che forse non è una semplice coincidenza. Ultima proprietaria del mobile, la contessa Lydia Caprara di Montalto, sposò il conte poi senatore Gian Giacomo Morando Attendolo Bolognini, nipote della duchessa Eugenia Attendolo Bolognini Litta che, nel proprio testamento, lo beneficiò di tutti i suoi averi.[6] La nobile zia era sposata a Giulio Litta Visconti Arese, discendente diretto di quel Pompeo Litta che, stando al racconto del Mezzanzanica, scoprì assieme a Giuseppe Levati (date) “verso il 1765 incirca” l’umile falegname di Parabiago.[7] Senza azzardare fantasiose considerazioni resta la suggestione che, passata da una generazione all’altra, la nostra commode possa essere proprio quell’opera che, secondo la biografia di Mezzanzanica, Pompeo Litta commissionò a Maggiolini per la sua villa a Lainate nel “1765 incirca” su disegno di Giuseppe Levati:

Il Levati tolse da un cassetto un rotolo di carta, lo spiegò sul tavolino, e facendolo osservare al Maggiolini, questo, disse, è il disegno del mio canterano, che voi mi eseguirete: portatelo a casa, studiatelo, e se vi saranno difficoltà di esecuzione le toglieremo insieme”.[8]


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