
Giuseppe Maggiolini, Commode, 1805-1810
Fusto in legno di noce e abete intarsiato in mogano, palissandro, bois de rose, bosso, acero, acero tinto verde, ulivo, ebano e altri legni non correttamente identificabili. Piano in marmo Macchiavecchia. Cm 92,5×130,5×60,5
Quattro pilasti, quelli anteriori smussati, poggiano a terra su piedi torniti raccordati al corpo del mobile da eleganti piccole mensole. Il fronte e i fianchi sono perfettamente piani, appena rialzati da fasce orizzontali e cornicette che inquadrano le grandi riserve centrali. Una sottile cornice superiore, che gira attorno ai pilastri anteriori smussati, sottolinea il piano di marmo, una bellissima e insolita lastra di Macchiavecchia dominata dai toni del verde. Le ampie superfici e le più piccole cornici, persino i piedi torniti, tutto è rivestito da finissimi intarsi in legni policromi che orchestrano una raffinata ed equilibrata decorazione, limpida, in cui nulla pare eccessivo. Elementi ornamentali raffinati, tratti dai repertori decorativi dell’architettura rinascimentale, sono orchestrati con una chiarezza di disegno capace di creare quell’effetto nobile, e nello stesso tempo aggraziato, che caratterizza le sue opere. La perfezione tecnica, ispirata a quella dei maestri rinascimentali, unita alla sensibilità per le scelte cromatiche dei legni, fanno delle sue tarsie, come scrisse un attento osservatore del suo tempo, dei veri e propri “dipinti coi legni”.
Fondamentale contributo a questo risultato è la cura minuziosa che egli sempre ricercò nella messa a punto dei modelli, opera dei migliori artisti del suo tempo ai quali si rivolgeva per avere disegni. Nel corso di una lunga carriera egli riunì così una straordinaria collezione di quasi duemila disegni, miracolosamente giunta integra sino ai giorni nostri e oggi conservata presso le Raccolte d’arte del Castello sforzesco di Milano, un unicum nella storia del mobile europeo e fondamentale strumento per lo studio della sua opera.

Un bel disegno di Andrea Appiani (Raccolta Maggiolini, Inv. B 15) ispirato alle antiche pitture ercolanensi, rappresentante un’ara ardente con gli strumenti necessari per i sacrifici agli Dei, è il modello impiegato per l’intarsio circolare su un fondo di nero ebano al centro della facciata del nostro mobile. Sull’ampia stesura di mogano del fronte, bordata da una larga cornice di bois de rose, Maggiolini inserisce questo disegno di Appiani in un’incorniciatura composta da due grandi cornucopie unite superiormente da un nastro, ricadenti sui lati e debordanti fiori.

Anche questa è un’invenzione ornamentale che fu messa a punto in un disegno preparatorio (Raccolta Maggiolini, Inv. C 266), già noto agli studi, che ora trova finalmente il suo mobile. E’ attribuibile a Giuseppe Levati, ornatista tra i più in voga nella Milano neoclassica – sue le bellissime decorazioni pittoriche del palazzo reale di Milano e della villa di Monza in gran parte perdute -, che per anni fu il principale fornitore di disegni per le tarsie di Maggiolini. Poco o nulla, come si può vedere dal confronto tra disegno e mobile, fu cambiato dell’intarsiatore nel corso della traduzione lignea; rispetto al disegno le cornucopie sono un poco più corte per lasciare spazio ai bouquets, non specificati nel disegno perché destinati ad essere liberamente composti da Maggiolini al banco da lavoro, impiegando modelli di fiori ancora conservati nel Fondo dei disegni di bottega. Nel bouquet di destra inserisce una farfalla e un’ape, in quello di sinistra, per un vero e proprio vezzo, intarsia quello che Linnaeus nella Nomenclatura chiama Melolontha melolontha, volgarmente detto, in italiano, Maggiolino. Una tanto chiara quanto spiritosa firma, un unicum, che io sappia, in tutta la sua opera oggi nota.

Anche per le tarsie dei fianchi si conserva l’esatto progetto in un terzo disegno (Raccolta Maggiolini, Inv. C 306), anch’esso attribuibile a Giuseppe Levati. Inserito nell’esatta forma della riserva quadrata con gli angoli rientranti che troviamo sui fianchi del mobile, rappresenta un vaso con due maniglie ad anello poggiante sopra un piano in marmo dal ciglio sbrecciato. Ancora una volta il bouquet non è specificato.
Il lungo festone di fiori legato superiormente da un nastro nelle sottili riserve dei pilastri d’angolo, è un motivo decorativo molto amato da Maggiolini, presente su altri mobili e che trova riscontro in un progetto di commode nel Fondo dei disegni di bottega (Raccolta Maggiolini, Inv. C 165).
Maggiolini non fu mai particolarmente generoso nelle iscrizioni sui disegni, e questo personalmente gli rimprovero, perché se egli con maggior frequenza vi avesse appuntato nomi e date il lavoro dello storico che si occupa della sua opera sarebbe stato più semplice e scevro da errori. Un nome però questa volta compare sul disegno con le cornucopie. In alto a destra, in piccolo, Maggiolini di suo pugno scrisse: “Ing.re Pirovano”. Questo nome compare su altri due fogli nel Fondo dei disegni di bottega (Inv. A 298 e C 323); si tratta dunque di un cliente per il quale Maggiolini eseguì più di un mobile. Nell’iscrizione sul disegno A 298 Maggiolini ricorda che era destinato a un comodino, forse en pendant con la nostra commode. Sappiamo dunque che il committente di questo bel mobile era un ingegnere, forse il figlio e continuatore dell’attività paterna dell’ingegner Antonio Maria Pirovano Trivulzio (1739-1792) attivo a Milano nella seconda metà del Settecento, membro del Collegio degli Architetti, Ingegneri e agrimensori. Ma notizie precise in merito non ve ne sono. Certamente sappiamo che medici, avvocati, ingegneri, esponenti della moderna classe dirigente napoleonica in Lombardia, compaiono numerosi tra i committenti di Maggiolini nel corso del primo decennio dell’Ottocento. Seguono la moda della corte napoleonica, favorita dal Vicepresidente della Repubblica Cisalpina Francesco Melzi d’Eril, committente di numerosi mobili per sé stesso e per i palazzi della corte imperiale. Eugenio di Beahuarnais commissionò a Maggiolini nel 1804 due bellissimi tavoli da gioco oggi conservati preso Le Civiche Raccolte d’Arte Milanesi (Inv. nn. 655-1231). Napoleone stesso, incoronato Imperatore a Milano nel maggio del 1805, dovette apprezzare l’opera del “Cittadino” Maggiolini visto che nella sua camera da letto nel Palazzo Imperiale di Milano si trovavano due sontuose commodes che l’ebanista eseguì nel 1804 (G. Beretti, Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini. L’officina del Neoclassicismo, Milano, 1994, pp. 172-177).
Anche la presenza del bel disegno di Andrea Appiani su questo nostro mobile ne suggerisce l’esecuzione nel corso dei primi anni dell’Ottocento, successivi all’incoronazione di Napoleone del 1805, quando Appiani era a Milano il pittore alla moda, prediletto dall’imperatore che più d’una volta posò davanti al suo cavalletto.

Se poco sappiamo del committente di quest’opera, possediamo interessanti e circostanziate notizie successive, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento quando il mobile, in una data imprecisata, lasciò l’Italia alla volta dell’Inghilterra. Non è un fatto sorprendente, sono noti altri suoi mobili in collezioni inglesi. Il più famoso è senz’altro la grande scrivania che Maggiolini eseguì attorno al 1784 per del ministro Plenipotenziaria della Lombardia Joseph Von Wilkzeck, nel corso della prima metà dell’Ottocento, acquistata da William Jones durante il suo viaggio in Italia verso il 1833 e successivamente da John Patrick, 3rd Marchese di Bute per il castello di Cardiff (Christie’s London, 3 July 1996, Lot.10). Il mobile in questione lo troviamo tra le fine Ottocento e l’inizio del Novecento nella collezione di Annie Henriette de Rothschild (1844-1926) che lo donò, in un’epoca imprecisata alla sua figlioccia, Lady Elizabeth Yorke, baronessa di Leicester (1912-1985) dalla quale passò alla di lei figlia Anna Tennant, Baronessa di Glenconner che oggi pone in vendita l’opera, certamente una delle più belle e interessanti riscoperte maggioliniane degli ultimi anni.